
Uno specchio, un volto, forse due.
Un'intimità che sfiora la tragedia del riconoscersi.
Vedo, attraverso il vetro, non i miei occhi, ma i suoi;
gli occhi dell'altro-me-che-mi-osserva.
Sono già diverso da me stesso, anticonforme alla mia maschera.
Ho scelto di non somigliare, non essere uguale neppure all'altro me.
Nel mondo del pascolo, il gregge è lì a scrutare i tuoi passi,
a prevedere le tue mosse, ad imitare i tuoi gesti.
Bere allo stesso modo, foglia di tabacco accesa sulla mano destra,
un taglio di capelli, un cappello, lo stesso abito di tanti,
per dire che forse, in fondo non si è più soli:
avere(in somiglianza) più che essere, nei meravigliosi cavilli delle diversità.....
Mi giro, e vedo me, - ma non sono io.
E neppure un sosia mi pare, solo un manichino,
un soldatino di fango che indossa l'uniforme in una piccola guerra da modellino
.
Provo nervosamente a contare i respiri, anch'essi uguali nell'avvicendamento.
Mi innervosisce un po’:
Conto i respiri e quando vorrei smettere non posso;
il petto si amplifica più del dovuto, aumentano i toni asmatici, la paranoia del ripetuto;
è tutto così uguale, un'ansia continua e ciclica;
e più voglio non quantizzare, più mi invade il desiderio proibito di farlo,
come se perdessi un'occasione unica,
quasi sfuggisse anche un solo involontario respiro, mentre so che non posso permetterlo.
Meglio uscire, come tanti, come ogni giorno,
piuttosto che subire le angherie della tana,
che ho trasformato sempre più in una grotta per evitare i lupi.
Ma è nella solitudine, non fisica, ma pura,
che scopro che in realtà, l'altro te non c'è mai stato,
che lo specchio non esiste e che forse, non hai mai neppure iniziato a respirare....