
Procede a grandi bocconi, intristita, e un pianoforte lo attira sulla riva. Soave il richiamo dei bianchi e neri, armonia del cosmo ardente, un angelo dalla bianca veste Adagio, seduta sul niente, piedi intrisi di rena umida, forma e sostanza di universi inesplorati, batte leggera sull’avorio grezzo. E’ un animale ferito quello che adesso le giace accanto, morente, appeso a un filo d’esistenza, senz’aria. Cosciente di dover morire solo, senza accadimenti ne parole. Vi fu un tempo in cui l’animale regnò, ma questo tempo è consegnato alla storia. Un ciclo nuovo, fatto di inedite emozioni e cuori attenti all’ascolto; questo è il tempo nuovo. E finalmente dal buio, fra bianchi e neri, tuona l’armonia sepolta. L’animale adesso sa come sanare le ferite e si dimena e dibatte contro i flutti. E le si avvicina e le chiede di prenderlo con se, accudirlo ai suoi piedi. memore del tempo in cui fu schiavo, in cui comprendere era impossibile. E i sogni d’un tempo, presto dimenticati, affiorano fra la criniera, ancora poco folta ma pronta a brillare nella foresta. Vi furono giorni che presto saranno oblìo, cento anni ha ancora da vivere l’animale morente. E si accuccia, fiero, fra le di lei mani tremanti . E da lontano una fiera lo osserva, e medita vendetta. Lui gira lo sguardo altrove. E’ selvaggia e pentita, ma l’animale sa che non può tenere il suo sguardo. Un tempo la fiera pasceva tranquilla, dimenticata dal mondo, usurpata nell’animo. E per questo divenne fiera e sola. L’animale l’accudì, la distolse dalla fauna, si prese cura di lei e tornò nella tana, perché sa che la fiera in fondo è la fiera, né agnello né lupo, né rosa né giglio, soltanto fiera.